Per i Cristiani la Pasqua celebra la Passione e la Risurrezione di Cristo e viene tradizionalmente festeggiata la prima domenica dopo il plenilunio che segue l’Equinozio di primavera.
Ma se ci volgiamo all’indietro e torniamo con la mente ai tempi dei Romani, scopriamo che precisamente nello stesso periodo dell’anno, nelle città fluviali e marittime dell’Impero, si svolgeva un’importante festa dedicata alla dea Iside.
Durante la cerimonia detta Navigium Isidis, la statua della dea sfilava su un carro a forma di nave (carrus navalis) così da rievocare l’antico mito egizio di Iside e Osiride: dopo aver lungamente viaggiato per mare Iside riesce a trovare e ricomporre quasi tutti i pezzi smembrati del suo amato Osiride. Purtroppo manca all’appello il pene, pezzo forte della collezione, andato in pasto ai pesci!
Una lunga processione in maschera accompagnava il carro a forma di nave, trainato da ruote e riccamente adornato. La cerimonia terminava poi in corrispondenza dei corsi d’acqua, dove la barca riempita di doni ed offerte votive veniva lasciata andare alla deriva, dando simbolicamente avvio alla stagione della navigazione.
Iside, protettrice dei naviganti, veniva omaggiata per invocarne la protezione e ricominciare il ciclo del “mare aperto”, ovvero il periodo in cui era possibile tornare a navigare.
Compiuto il rito il corteo rientrava al tempio e si abbandonava a festeggiamenti scomposti dalla forte componente dionisiaca.
La cerimonia del Navigium Isidis rimase in vita sino all’epoca di Teodosio. Con l’imporsi del cristianesimo i culti pagani vennero vietati e il rito si scorporò in due parti: la parte riguardante la resurrezione di Osiride sarebbe confluita nella Pasqua e nel Mistero della Risurrezione cristiano, mentre la parte più pagana e dionisiaca legata ai festeggiamenti avrebbe dato vita alle feste medievali del Carnevale, il cui termine deriverebbe quindi proprio dal “carrus navalis” di Iside.
Conviene, a questo punto, far parlare gli antichi e riportare qua di seguito alcuni stralci della dettagliatissima descrizione del Navigium Isidis che ci ha fornito Apuleio nelle sue Metamorfosi. Leggendo queste parole non potrete che convenire che le due celebrazioni si assomigliano al punto da sovrapporsi!
Che vogliate festeggiare Pasqua, Carnevale, il Navigium Isidis o più banalmente la fine di questa infinita quarantena, noi vi facciamo tanti auguri, sperando di poter rispettare la tradizione degli antichi, e dare anche noi avvio alla stagione della navigazione!
[…] Ed ecco che lentamente cominciò a sfilare la solenne processione. La aprivano alcuni riccamente travestiti secondo il voto fatto: c’era uno vestito da soldato con tanto di cinturone, un altro da cacciatore in mantellina, sandali e spiedi, un terzo, mollemente ancheggiando, tutto in ghingheri, faceva la donna: stivaletti dorati, vestito di seta, parrucca. C’era chi, armato di tutto punto, schinieri, scudo, elmo, spada, sembrava uscito allora da una scuola di gladiatori; e non mancava chi s’era vestito da magistrato, con i fasci e la porpora, e chi con mantello, bastone, sandali, scodella di legno e una barba da caprone, faceva il filosofo, due, poi, portavano delle canne di varia lunghezza, con vischio e ami, a raffigurare rispettivamente il cacciatore e il pescatore.
[…] Mentre queste divertenti maschere popolari giravano qua e là, la vera e propria processione in onore della dea protettrice cominciò a muoversi. Donne bellissime nelle loro bianche vesti, festosamente agghindate, adorne di ghirlande primaverili, spargevano lungo la strada per la quale passava il corteo i piccoli fiori che recavano in grembo, altre avevano dietro le spalle specchi lucenti per mostrare alla dea che avanzava tutto quel consenso di popolo, altre ancora avevano pettini d’avorio e muovendo ad arte le braccia e le mani fingevano di pettinare e acconciare la chioma regale della dea, altre, infine, versavano, a goccia a goccia, lungo la strada, balsami deliziosi e vari profumi. Seguivano uomini e donne in gran numero che con lucerne, fiaccole, ceri e ogni altra cosa che potesse far luce, invocavano il favore della madre dei cieli….
[…] Seguivano poi i ministri del culto, i sommi sacerdoti, nelle loro bianche, attillate tuniche di lino, strette alla vita e lunghe fino ai piedi, recanti gli augusti simboli della onnipotente divinità…
[…] Intanto fra questi discorsi e le festose ovazioni, procedendo lentamente, giungemmo alla riva del mare. Qui, allineate secondo il rito le immagini sacre, il sommo sacerdote s’avvicinò con una fiaccola accesa, un uovo e dello zolfo a una nave costruita a regola d’arte e ornata tutt’intorno di stupende pitture egizie e, pronunziando con le sue caste labbra solenni preghiere, con fervido zelo la purificò e la consacrò offrendola alla dea. La candida vela di questa nave fortunata recava a lettere d’oro il voto augurale di una felice navigazione per i traffici che si riaprivano. A un tratto fu issato l’albero, un pino rotondo, alto e lucido con su in cima un bellissimo calcese; la poppa ricurva, a collo d’oca, scintillava rivestita com’era di lamine d’oro, e la carena di puro legno di cedro splendeva anch’essa. Allora sia gli iniziati che i profani, tutti indistintamente, fecero quasi a gara a recare canestri colmi d’aromi e d’altre offerte e libarono sui flutti con un intruglio a base di latte, finché la nave, colma di doni e d’altre offerte votive, libera dagli ormeggi, non prese il largo sospinta da un vento blando e propizio. Quando essa fu tanto lontana che appena la si poteva scorgere i portatori ripresero di nuovo i sacri arredi che avevano deposto e, tutti soddisfatti, ritornarono al tempio in processione nello stesso bell’ordine di prima.
[…] Quando giungemmo al tempio il sommo sacerdote, i portatori delle divine immagini e quelli che erano stati iniziati già da tempo ai venerandi misteri, entrarono nel sacrario e deposero, secondo il rito, quelle statue che sembravano vive. Allora uno di loro che tutti chiamavano «il grammateo», dalla soglia convocò in adunanza la schiera dei pastofori, – così erano chiamati quelli del sacro collegio, e salito su un alto scranno cominciò a leggere da un libro alcune frasi augurali all’indirizzo dell’imperatore, del senato, dei cavalieri, di tutto il popolo romano, dei marinai delle navi e di tutto quanto al mondo rientra sotto il nostro imperio; poi, in lingua e rito greco proclamò l’apertura della navigazione e l’ovazione che seguì della folla confermò che quest’annunzio era inteso come un buon auspicio per tutti.
Apuleio, Le metamorfosi (XI)