La navigazione antica era essenzialmente una navigazione empirica: il senso nautico dei marinai e la loro capacità di percepire i messaggi dall’ambiente che li circonda gli permise di orientarsi con sicurezza.
I riferimenti astronomici ed ambientali ed i dettami dell’esperienza sostituivano la navigazione strumentale.
Sebbene non conoscessero la bussola (inventata dai cinesi nel XI sec.) e non disponessero di tecnologie nautiche moderne, i Romani viaggiavano per mare il giorno e la notte, affrontando navigazioni d’altura anche fuori dal Mediterraneo.
Di giorno la rotta era stabilita basandosi sulla posizione del sole, che nel suo movimento si sposta da est ad ovest.
Anche la costa offriva dei punti di riferimento: in occasione di tragitti in alto mare, come ad esempio quelli tra due isole, gli antichi si aiutavano con le nuvole che, in genere, si formano solo sopra la terraferma.
Di notte, l’aiuto della stella polare, dell’Orsa Maggiore e Minore rendeva più facile l’orientamento: queste ultime rimanevano quasi ferme e visibili nella volta celeste, mentre le altre costellazioni comparivano e scomparivano col passare delle ore.
Per rievocare il mito, potremmo dire che Ulisse per navigare verso ovest doveva lasciarsi l’Orsa Maggiore sulla destra, mentre per andare ad est sulla sua sinistra, per il nord dritta a prua, e per il sud dritta a poppa!
Un altro punto di riferimento per la navigazione notturna era costituito dai fari accesi lungo le coste. La visibilità era fondamentale per mantenere sotto controllo i vari punti di riferimento e, del resto, la navigazione si svolgeva in prevalenza durante la primavera e l’estate, quando il vento era favorevole e sufficiente da consentire una velocità minima, cosa che garantiva anche buone condizioni di visibilità.
La navigazione antica si divide, in navigazione di piccolo o grande cabotaggio (“da capo a capo”), e una navigazione d’altura. Nella navigazione d’altura i Romani affrontavano lunghe distanze senza avere la terra ferma in vista e la navigazione poteva durare più giorni.
I percorsi variavano in funzione dei luoghi e delle stagioni ed erano ovviamente condizionati da molteplici esigenze, in primo luogo quelle commerciali.
Nei mesi estivi erano preferite le traversate in alto mare, certamente più dirette e veloci, mentre nei mesi invernali le già ridotte navigazioni seguivano le meno rischiose rotte di cabotaggio.
Le descrizioni delle coste e dei loro porti ci sono fornite dai “Peripli”, narrazioni di viaggi marittimi che prefigurano i portolani medievali. Queste testimonianze ci riportano la descrizione delle regioni costeggiate, i porti toccati, i punti di atterraggio, le attrezzature portuali e le distanze percorse.
Tra questi ricordiamo il periplo di Pitea di Marsiglia, navigatore greco vissuto nel IV sec a.C. il quale compì uno straordinario viaggio oltre le colonne d’Ercole (Stretto di Gibilterra) per giungere fino all’Europa settentrionale. Pitea fu il primo navigatore che comprese l’influenza della luna sulle maree e il meccanismo di alternanza di giorni e notti di sei mesi ai poli.
In età romana, invece, si diffusero i cosiddetti “Itinerari”, vere e proprie guide per conoscere le caratteristiche del viaggio da intraprendere. Tra questi il più noto è l’ “Itinerarium Maritimum Antonini” opera di epoca imperiale romana anonima. Incerta anche la datazione: per alcuni con “antonino” non si farebbe riferimento alla dinastia, ma a Caracalla, facendo dunque oscillare il testo tra il II e il III secolo. Che questo itinerario fosse un antenato del portolano medievale è improbabile, tuttavia si ritiene che l’Itinerarium potesse essere uno strumento a sostegno delle strategie militari, un riferimento per la pianificazione del viaggio per definire la probabile durata e per approntare le risorse necessarie alla permanenza in mare.
Tutti questi supporti aiutavano dunque gli antichi marinai ad orientarsi per mare, cosicché non solo non solo le strade, ma anche alle rotte marittime, li riportassero a Roma!